Il concordato preventivo: La prospettiva della continuità aziendale


Il concordato preventivo è un importante strumento della crisi di impresa. È una procedura concorsuale che consente all’imprenditore commerciale, che è in stato di insolvenza, di evitare il fallimento.

Già dal 2005 i numerosi interventi di riforma hanno privilegiato la soluzione negoziale, poiché quella fallimentare era ritenuta negativa sia per l’imprenditore sia per i risvolti economici conseguenziali.

Proprio questo mutamento ha portato al riconoscimento normativo della continuità aziendale, quale primaria esigenza da perseguire nella predisposizione di uno strumento di gestione della crisi.

Il concordato preventivo consente, infatti, maggiori possibilità di preservare il valore aziendale, di salvaguardare posti di lavoro e di non disperdere le ricchezze.
L’istituto del concordato preventivo è disciplinato dal titolo III della legge Fallimentare (Regio Decreto del 16 marzo 1942 n. 267) agli articoli 160 – 186 bis recante la disciplina delle procedure alternative al fallimento.

La legge Fallimentare del 1942 specificava che l’intento dell’istituto del concordato preventivo era quello di offrire al debitore “onesto ma sfortunato” i mezzi per evitare l’inesorabile distruzione della sua impresa, per se stesso vitale, con danno della pubblica economia.
Il testo originario degli articoli 160 e 181 della legge Fallimentare faceva riferimento “alla meritevolezza” dell’imprenditore come requisito essenziale di natura etica. Altri requisiti richiesti erano: iscrizione da almeno un biennio nel registro delle imprese, assenza di precedenti dichiarazioni di fallimento, mancate ammissioni alla procedura concordataria nei cinque anni precedenti ed assenza di condanne per bancarotta (Delitti contro il patrimonio, l’economia pubblica, l’industria ecc…).

In tal modo si privilegiava l’imprenditore ”onesto ma sfortunato”.

Dal 2005 si sono registrati numerosi interventi normativi in materia fallimentare che hanno contribuito ad un cambiamento culturale, fatto proprio anche di recente dal legislatore nella legge delega n. 155/2017, nell’approccio alla crisi dell’impresa, con una forte oggettivizzazione della gestione della crisi stessa, attuata attraverso il superamento dei requisiti personali di meritevolezza dell’imprenditore in difficoltà ed una implicita liberalizzazione dello strumento negoziale finalizzata ad una valorizzazione dei piani di risanamento dell’impresa e di conservazione dei complessi produttivi.

Gli interventi normativi hanno perseguito una comune idea di fondo, influenzata anche da fattori economici, quali la necessità di non disperdere le energie produttive, salvaguardare posti di lavoro e non penalizzare il Pil locale e nazionale, oltreché facilitare l’accesso alle procedure di gestione della crisi dell’impresa diverse dal fallimento, visto ormai come una sconfitta non solo per l’imprenditore, ma anche per l’intero tessuto produttivo.

In questo senso, la rivisitazione della disciplina degli articoli 160 e 181 risponde all’esigenza di modificare completamente l’impostazione di fondo. Tale procedura concorsuale, infatti, non è più vista come un beneficio per determinati imprenditori insolventi, bensì come uno strumento utile al raggiungimento del risanamento dell’impresa ed alla conservazione dei complessi produttivi. La cancellazione dei riferimenti alla sussistenza dei requisiti “soggettivi” etici, considerati fortemente limitativi per l’accesso a tale procedura, risponde alla nuova filosofia dell’istituto che deve diventare lo strumento principale per rispondere alle crisi aziendali. Vale la pena sottolineare, inoltre, che la modifica dei requisiti soggettivi, accompagnata alla modifica estensiva del presupposto oggettivo (da “insolvenza a crisi”), rappresenta un segnale molto significativo della volontà estensiva del legislatore di ampliarne l’utilizzo a discapito della soluzione essenzialmente liquidatoria.

Al superamento culturale della rigidità punitiva nei confronti dell’imprenditore in difficoltà ha contribuito in modo significativo anche il protrarsi della grave crisi economica che ha interessato l’economia del nostro Paese, determinando una drammatica recessione dalla quale si sta lentamente uscendo dopo anni difficili, e ha spostato l’attenzione dal merito dell’imprenditore, alla salvaguardia e conservazione dell’attività imprenditoriale, attraverso soluzioni che privilegiano la continuità aziendale.

L’operazione portata avanti dal legislatore non ha completamente eliminato il controllo sul comportamento dell’imprenditore, ma ha reso più semplice l’accesso alla procedura che prima, con la presenza di stringenti requisiti etico-soggettivi, risultava fortemente limitata.

Rimangono applicabili nei confronti dell’imprenditore in difficoltà che presenta la domanda di ammissione alla procedura le disposizioni di cui agli articoli 161 comma nono e 173 della legge Fallimentare, che prevedono: da una parte, l’inammissibilità di una domanda di concordato preventivo nel caso in cui lo stesso debitore abbia, nei due anni precedenti, presentato una stessa domanda e a questa non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti; dall’altra, il controllo del commissario giudiziale che, in caso accerti che lo stesso debitore abbia occultato o dissimulato parte dell’attivo, ovvero abbia dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, oppure abbia esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, è chiamato a riferirne immediatamente al tribunale che, nonostante la piena valorizzazione dell’elemento negoziale della procedura, continua ad avere un ruolo centrale nella verifica della regolarità della procedura e nel controllo dell’esito della votazione.

Attraverso queste disposizioni il legislatore ha voluto mantenere un impianto normativo capace di contrastare e prevenire l’abuso dello strumento concordatario, al fine, in particolare, di evitare un utilizzo strumentale della domanda di ammissione quale mezzo per ottenere l’applicazione degli effetti protettivi rispetto alle azioni esecutive.

Già nel 2005 il legislatore, riformando l’art. 160 della legge Fallimentare aveva indicato soluzioni con finalità di conservazione dell’azienda mediante la continuità dell’attività imprenditoriale.

Con la legge n. 134/2012 il legislatore ha introdotto un diretto riscontro normativo al concordato con continuità aziendale. Successivamente la legge delega n. 132/2015 e la legge delega n. 155/2017 hanno favorito ulteriormente le soluzioni di continuità a discapito di quelle liquidatorie.

La riforma Rordorf, approvata lo scorso anno in Parlamento ha indicato la necessità di prevedere l’ammissibilità delle proposte di natura liquidatoria esclusivamente per i casi nei quali ci sia un apporto di risorse esterne utili a soddisfare i creditori. Questa soluzione risponde anche alle esigenze del legislatore europeo che ha tracciato la strada della semplificazione e della razionalizzazione dei percorsi di ristrutturazione delle imprese, per evitare, con ogni mezzo a disposizione, di disperdere il valore aziendale e i posti di lavoro e penalizzare l’economia e l’indotto.

La continuità aziendale, in sede di attuazione della legge delega n. 155/2017 rappresenta, dunque, un elemento di grande interesse perché avvicina il diritto delle procedure concorsuali italiano con le indicazioni fornite a livello europeo, al fine di rendere il nostro impianto normativo adeguato ad un’economia sempre più globalizzata e competitiva.

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